di Sofia Maioli (classe 3° Liceo Scientifico)
Siamo in quarantena ormai da due mesi e la nostalgia degli amici, dello sport e della scuola inizia a farsi sentire. Le giornate sembrano vuote e anche la scuola, che talvolta è pesante, ci manca; il luogo dell’istruzione che ci insegna nozioni, sapere stare al mondo e, in particolare, insegna la storia, una materia non molto amata quanto molto efficace. La storia illustra il passato, gli errori, che, in quanto uomini, abbiamo commesso, così che prima di agire riflettiamo guardando indietro per compiere azioni giuste e ragionevoli. Proprio in questo periodo, dove la solitudine e quella sensazione di abbandono incombono nelle nostre case, dobbiamo analizzare, riflettere e magari riferirci alle esperienze passate perché, come si sa, il mondo ha già conosciuto pestilenze gravi e meno gravi e si possono riscontrare parecchie analogie con le precedenti epidemie.
Il grande Manzoni descrive dettagliatamente la peste nel romanzo “I Promessi Sposi” partendo dall’atteggiamento superficiale delle autorità di fronte al diffondersi del morbo. Chi può negare di non aver passato i primi giorni di quarantena a continuare ad uscire con gli amici o a fare lunghe passeggiate? Diciamo che anche noi abbiamo preso l’allarme abbastanza alla leggera. Nel 1629 arrivano i primi morti di peste anche nel Ducato di Milano, mentre le autorità sminuiscono la gravità del problema ignorando i pareri dei colti medici e scienziati, che vedevano nel morbo una potente arma omicida e il contagio dilaga. Nel 2020 il monito di un virus potente viene mandato dalla Cina con pochi riscontri e la vita nella penisola italica continua serenamente: infatti il solo pensiero di un’imminente pandemia era ben lungi dall’attraversare le nostre menti.
Tuttavia il virus arriva silenzioso e il governo, dopo una fase iniziale dove viene sottovalutato il problema, inizia a prendere delle precauzioni: innanzitutto vengono bloccati i voli in arrivo dalla Cina, come il governatore di Milano chiude le porte ai forestieri in arrivo dal luogo di contagio, e isola Codogno, piccolo paesino con il primo contagiato italiano. Si respirava una situazione strana come il cielo prima del temporale, la quiete prima della tempesta: tutti avvertivano il dilagare del morbo ma non volevano ammetterlo; è dovuto aumentare il numero di decessi per far rendere conto alla gente che non si trattava di una semplice influenza che colpiva gli anziani, ma di un “bel pezzo” di virus: benvenuto Coronavirus!
Le misure erano semplici: chiudere tutto, isolare i cittadini nelle proprie case per qualche settimana, però sarebbe stato troppo dannoso bloccare l’economia italiana per due settimane, e perciò la gente continuava a gironzolare, fare attività fisica, andare al centro commerciale, favorendo le occasioni di contagio, perché sono prevalsi gli interessi economici rispetto alla salute del popolo. Se si avesse avuto il tempo di riflettere, magari con uno sguardo al 1600, avremmo potuto vedere che dare la priorità a questione finanziare o di onore, come fece il governatore milanese Ambrogio Spinola che, nonostante le circostanze, non esitò a festeggiare pubblicamente la nascita dell’erede al trono di Spagna, non era il metodo migliore, visto la catastrofica peste bubbonica, che decimò la popolazione. Ormai però quel che è fatto è fatto, anche se non è stata la cosa migliore.
A quel punto diventava fondamentale contenere il contagio ma il numero crescente di morti non era rassicurante per nessuno. La paura, fomentata dalla disinformazione, aveva emarginato i negozi cinesi che abbassavo le serrande, il pesce del sushi che marciva e il capo espiatorio di questa pandemia era stato trovato; ma poveri italiani inconsapevoli del simile destino che sarebbe toccato loro! Manzoni parla di gente che si accaniva a cercare il colpevole di quella pestilenza: bisognava trovare a tutti costi una causa che non fosse naturale, perché i politici non avrebbero potuto contraddirsi e iniziarono così le accuse a poveri innocenti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato: gli untori.
La paura di contrarre il morbo incolleriva gli uomini inducendoli a cercare qualcosa su cui sfogarsi e la caccia agli untori passò in primo piano, davanti all’evitare il contagio. La diffusione del morbo è stata causata dall’ignoranza degli uomini, dalla insipienza dei tecnici e dalla irresponsabilità e la paura e il delirio collettivo che hanno scatenato i processi e la caccia agli untori. I primi ad essere accusati sono i dotti che fin dal principio si sono opposti alle dicerie, così come i nostri dottori avvertivano del problema e noi li schernivamo. La cruda realtà è difficile da accettare ma permette uno scontro diretto con il vero avversario, non contro coloro che le dicerie ritenevano colpevoli e perciò sarà più facile uscirne.
I Social Network contribuiscono ad aumentare la paura e, spesso, con notizie non attendibili ed essa va dilagando, come una serpe in mezzo alla gente. La prima reazione impulsiva e priva di razionalità depredò i supermercati e in particolare ci fu la razzia di mascherine; dove la gente si accalcava davanti ai negozi di alimentari con file chilometriche, scaffali vuoti e, addirittura, litigate per l’ultimo bricco di latte. L’ansia di contrarre il morbo portava le persone a un delirio generale, che faceva perdere loro il buon senso, tanto che assomigliavano più a bestie che a umani.
Di fronte a questo brutto sogno Boccaccio distingue due diversi tipi di atteggiamento, oltre a quello mediocre fra i due: il primo apparteneva a quelli che si isolavano dalla realtà, senza neppur volere notizia dei morti e il secondo rappresentava coloro che si abbandonano ad ogni licenziosità e dissolutezza. Lui suggerisce che la migliore soluzione è utilizzare l’industria umana per superare le avversità che ci si oppongono e per non soccombere ai colpi della fortuna. Tuttavia anche in questi periodi di grande fragilità ci sono i cosiddetti monatti manzoniani che, portando i morti al lazzaretto in cambio di una lauta ricompensa, si approfittano della situazione per intascarsi un effimero bottino.
Viene meno l’umanità, quel valore che ci contraddistingue in quanto esseri umani, con la disperazione portando certuni a lucrare sul dolore altrui. E chi se non quei mascalzoni che fingendo di fare tamponi rubano in casa degli anziani incarnano meglio la figura di monatti? Non sono da meno i venditori di mascherine o di gel igienico, speculando sul prezzo di questi prodotti di prima necessità al momento, si arricchiscono a danni altrui. La storia si ripete ma noi siamo liberi di scegliere come agire e utilizziamo la ragione per evitare questi scempi, perché siamo tutti sulla stessa barca e le sorti sono nelle nostre mani: o affonda o giunge a riva sana e salva. Perciò ascoltiamo, pensiamo e poi agiamo.